domenica 24 ottobre 2010

Gole profonde

Appena svegli tutti alla finestra a vedere in che condizioni era il fiume e a che punto erano i lavori per la ricostruzione del ponte: fortunatamente non era il ponte di Messina, e due assi di legno pericolanti stavano per essere posate con grande panico di chi come noi doveva passarci sopra con tutte le valigie…
La giornata prevede l’esplorazione di due bellissime zone montuose attraversate da profondissimi canyon: le gole del Todra e la valle del Dades, spettacolari fenditure nella roccia a strapiombo, di un colore rosso rame.




Secondo la guida una pista esclusivamente per fuoristrada collega entrambe le zone addentrandosi all’interno della catena montuosa dell’Atlante, ma già poco più avanti del nostro scenografico albergo vediamo scendere da quella direzione alcune macchine per nulla diverse dalla nostra. Onde evitare di cacciarci nei guai decidiamo comunque di proseguire lungo l’itinerario previsto, anche perché una deviazione di quel tipo avrebbe fatto saltare un po’ tutto il programma. Conferma di ciò l’abbiamo avuta percorrendo la bellissima valle del Dades, che si inerpica tra paesaggi mozzafiato, attraversando valichi e gole e, a nostra sorpresa, un’infinità di villaggi tutt’altro che disabitati. Giunti in cima al passo, circondati da niente e nessuno scendiamo per le classiche foto di rito, ma, come sempre, appare dal nulla il classico venditore: giuro, non abbiamo la più pallida idea da dove sia sbucato, né come potesse pretendere di vendere la sua mercanzia ai turisti visto che si trattava di sassi….




Da queste parti d’inverno nevica e ce ne accorgiamo subito nel vedere in lontananza alcune cime già innevate: forse, insieme al Kilimangiaro, l’unica zona in Africa in cui si può vederla. Basta questo perché il pensiero vada già alla stagione sciistica che attendiamo con ansia di cominciare!!!!
Il percorso che ci porterà al riad successivo si snoda nella cosiddetta “valle delle kasbe”, nome esotico che indica le caratteristiche costruzioni fortificate in fango che ospitavano in passato le famiglie più in vista di ogni villaggio e che ancora oggi, in quelle meglio conservate, sono parzialmente abitate. Peccato che quello che doveva essere uno tra i percorsi più interessanti della vacanza si sia rivelato una mezza delusione: un buon tratto si snoda attraverso un unico grande paese, costruito ai lati dell’unica strada nazionale, senza che ci siano possibilità di intravedere nulla di interessante. Quando poi finalmente le case terminano e si passa tra zone desertiche e palmeti lussureggianti ecco che la cronica penuria di indicazioni stradali fa si che non si capisca assolutamente nulla di quali siano le kasbe segnalate e quali semplici edifici comuni: tutti infatti sono di fango e terra, anche le case più recenti, perfettamente mimetiche con il paesaggio circostante. Vedendone da lontano alcune ci buttiamo a caso in stradine sterrate che puntualmente arrivano in cortili privati o, peggio ancora, terminano davanti all’unico rivolo d’acqua che attraversa la zona. Giusto per fare qualche foto ci spingiamo verso due che nulla centrano con quelle abituali visto che sembrano più residenze da mille e una notte piuttosto che povere costruzioni antiche e fatiscenti.




Con un po’ di delusione ci avviamo a sera inoltrata verso il nostro riad di Ait ben Haddou, bellissimo posto con tanto di piscina scenografica e vista spettacolare.

venerdì 22 ottobre 2010

Una giornata da berberi

La mattinata si presenta subito carica di emozioni, visto che il  nostro caro amico Giacomo Ferri, l’italiano titolare de “Le Chevalier Solitaire”, ha provveduto ad organizzare tutto nei minimi dettagli per rendere indimenticabile la nostra permanenza a Merzouga. Dopo una “leggera” colazione in puro stile marocchino a base di caffè speziato, latte, succo d’arancia, omelettes, marmellate fatte in casa a base di datteri e fichi d‘India, partiamo alla volta del centro di Merzouga dove un simpatico ometto berbero che parla non solo italiano, ma addirittura toscano, ci inizia al rito della vestizione in preparazione della cammellata nel deserto. Lo seguiamo per le vie del paese, noi a bordo della nostra inossidabile Corolla, lui su un motorino d’altri tempi, un’ incrocio tra un vecchio Ciao e il mitico Fifty, fino alla cooperativa che raccoglie i lavori fatti a mano delle donne e degli uomini berberi che abitano la zona. Qui, grazie alle sue abili mani, ci trasformiamo in uomini del deserto, indossando ciascuno il tipico turbante.




Quindi non ci resta che montare sui nostri bei dromedari preparati per l’occasione e partire alla volta del deserto sabbioso, detto anche Erg, guidati da Said e Noureddine, due giovani ragazzi berberi che ci hanno seguito a piedi in una marcia di ben 4 ore!
A questo punto sarete tutti curiosi di sapere come si sta a bordo di un cammello…Sinceramente credevo molto peggio. Dato che come sicuramente sapete il dromedario viene anche chiamato la “nave del deserto” ci aspettavamo movimenti nauseabondi, invece, dopo un attimo di adattamento alla sella (sicuramente più scomoda di quella di un cavallo) e di dimestichezza con le operazioni di salita e di discesa (sicuramente le più complicate data anche la statura), abbiamo attraversato in scioltezza l’Erg come dei veri Touareg. Ovviamente, data la durata del tragitto non potevamo non entrare in confidenza con i nostri accompagnatori e soprattutto con i nostri dromedari, per cui abbiamo deciso di ribattezzarli a nostro piacimento. Quindi io ero a bordo di Camillo, Omar di Lello, Marco di Priscillo e il Bresso di Dario. Sì, sì in effetti non abbiamo brillato per fantasia, ma tutto sommato sono nomi azzeccati, no?




Durante la cammellata abbiamo fatto diverse soste fotografiche e abbiamo pranzato in un campo tenda  in un’oasi che i locali hanno allestito per i turisti, con tanto di intrattenimento sportivo: addirittura si sono inventati lo sci  e lo snowboard sulle dune! In serata abbiamo poi raggiunto, sempre a cavallo (o meglio a cammello?) dei nostri fidi destrieri, l’accampamento berbero dove abbiamo pernottato. Siamo arrivati giusti giusti per goderci un suggestivo tramonto




sorseggiando the alla menta, al quale è seguita una cena in pieno stile berbero, a base di riso, Tajine (che abbiamo capito essere il piatto nazionale visto che ce lo rifilano ovunque andiamo in mmmille modi diversi) e frutta di stagione. La serata si è conclusa con un concerto di bonghi al quale abbiamo partecipato anche noi attivamente intonando canzoni italiane (che coi bonghi c’entrano poco!) e cercando di risolvere indovinelli complicati già nella traduzione, visto che si passava dalla versione base in berbero-arabo, alla traduzione in inglese, alla risoluzione in italiano per poi ritradurla di nuovo in inglese.
La mattina seguente svegli alle 6 in punto per poter vedere l’alba con i suoi suggestivi colori che passano dal rosa, all’arancione, all’azzurro chiarissimo e rimetterci poi sulla via del ritorno a Merzouga per poter ripartire alla volta delle Gole del Todra.




Lungo la strada che da Erfoud porta al Todra abbiamo costeggiato vari palmeti e fermandoci in una zona dove si trovano i pozzi di pulizia delle Foggare (canali di scolo delle oasi), abbiamo potuto toccare con mano quanto possono cogliere di sorpresa i venditori sul ciglio della strada; nonostante tu abbia parcheggiato a debita distanza e mentre scatti le foto con la coda dell’occhio dai sempre un’occhiata per verificare la posizione del nemico, quando meno te lo spetti eccolo spuntare davanti all’obbiettivo carico di cose inutili da vendere!
La strada per le Gole prosegue poi in una valle verdeggiante circondata da rocce di tutte le tonalità di rosso che vanno via via innalzandosi e restringendosi fino quasi ad abbracciare il fiume sottostante. Purtroppo oggi il tempo non è stato molto dalla nostra parte e, incredibile ma vero, ci siamo presi un bell’acquazzone per buona parte del tragitto fino all’arrivo alla Kasbah dove abbiamo dormito. Pioveva così intensamente che abbiamo fatto appena in tempo a portare i bagagli nelle stanze per poi assistere all’arrivo della piena del fiume che ha portato via addirittura il ponticello che i turisti normalmente usano per arrivare all’albergo! Molti turisti arrivati dopo di noi hanno dovuto fare marcia indietro.




La giornata si  conclusa con doccia fredda (tranne per il paraculato Omar) e cena a base di Tajine che è ormai diventato il nostro incubo peggiore (oltre ad essere una parola utile per scattare foto al posto dell’inflazionato cheese!).


P.S. Omar si dissocia da ciò che ho scritto e si riserva di intraprendere azioni legali nei confronti dei compagni di viaggio.


Sara

giovedì 21 ottobre 2010

Il lungo viaggio

Oggi i nostri stomaci, se potessero uscire dal nostro corpo, sarebbero già sul volo di ritorno per Milano: sottoposti a soli tre giorni a base di carne di pollo o agnello, abbondantemente cosparsa da decine di spezie diverse e cucinata in ambienti “asettici” e appositi si sono ribellati contemporaneamente in modo alquanto deciso ed inequivocabile. La cucina marocchina non è certo rinomata per la sua varietà, visto che qualsiasi cosa venga speziata assume sempre lo stesso sapore; la discriminante principale rimane quindi non la scelta tra ristoranti con menù diversi, ma tra posti più o meno igienici: spesso dare un’occhiata alla cucina è ciò che determina la sottile linea di confine tra una serata tranquilla e una notte tempestosa.




Con questo vigore partiamo alla volta delle terre desertiche al confine con l’Algeria.
Lungo il breve tragitto di 497 km abbiamo attraversato molteplici ambienti diversi tra loro, passando da tornanti in montagna a rettilinei infiniti in mezzo al deserto, tra oasi verdissime a case di fango, tra fiumi evaporati e canyon profondissimi. Vista l’impressionante quantità di persone che si muove in bicicletta, quasi sempre percorrendo decine e decine di chilometri in mezzo al nulla e sotto il sole ci vien da chiedere come mai nessun marocchino abbia mai vinto il Tour de France: fin da ragazzini sono obbligati a pedalare incessantemente visto che, per non so bene quale motivo, pressoché tutte le scuole si trovano molto al di fuori di qualunque centro abitato o assembramento di case che possa essere considerato tale. Non esistono scuolabus per cui è frequente incontrare a qualsiasi ora del giorno e della notte (anche gli orari scolastici sono per noi un mistero) bambini vagabondare per la strada apparentemente senza meta.




E’ diventata per noi consuetudine pranzare solamente con una CocaCola a testa e tassativamente in quei bar lungo la strada che meno attirano il turista straniero: quando si parla di marchio globale…
In questi posti veraci la famosa ospitalità marocchina scompare in fretta: gli avventori locali (generalmente pochi) non solo non parlano nemmeno una parola di francese, ma faticano persino a qualsiasi cenno di saluto o di interazione, neppure tra di loro. Il fissare il vuoto o la strada sembra essere il passatempo più diffuso. Altra cosa che accomuna un po’ tutto il mondo è senza ombra di dubbio il calcio: vedere frotte di ragazzini correre dietro ad un pallone sdrucito, su campi pietrosi improvvisati in mezzo al deserto, con delle assi di legno come porte e vederli felici nella loro povertà è il miglior spot per questo gioco, che, benché ne dicano i suoi detrattori, rimane per tutti il più bello.
Ci accorgiamo che il sole cala piuttosto presto anche a questa latitudine quando iniziamo a dover schivare nel buio i soliti ciclisti anche sulla strada che ormai costeggia le dune sabbiose, meta affascinante della giornata successiva. Come sempre in questi casi mi chiedo perché, con tutto questo spazio a disposizione, debbano non solo costruire strade così strette, ma soprattutto con più curve di un passo alpino.
A Merzouga ci aspettava l’ultimo templare, visto anche che ora, secondo il calendario musulmano, siamo nel 1430 o giù di lì: più precisamente un italiano che da anni gestisce un piccolo riad a forma di castello ai bordi del deserto, battezzato “Le chevalier solitaire”. Ci avrebbe fatto molto piacere scambiare due chiacchiere con quello che deva essere sicuramente un personaggio bizzarro, ma la moglie marocchina (ecco forse un buon motivo che l’ha spinto in queste lande desolate a mangiare tajine per tutta la vita) ci ha detto che era in giro a scorrazzare per il deserto in moto con altri turisti, molto più avventurosi dei sottoscritti. Non escludo che prima o poi possa prendere in considerazione una vacanza del genere…..vero Cighe???
  

martedì 19 ottobre 2010

La maledizione di Fes

Fes = Meknes³

Più caotica, più rumorosa, più incasinata, più sporca, più bella, più affascinante. Fin dal nostro arrivo in questa città da ben un milione di abitanti abbiamo subito capito che raggiungere il riad dove avremmo dormito per ben tre notti non sarebbe stata impresa semplice: già quella che loro chiamano tangenziale è essenzialmente una grossa striscia d’asfalto dove è possibile incontrare tutto e tutti, in un brulicante vortice di eccessi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per trovare il parcheggio concordato ci abbiam messo circa un’ora e mezza, grazie anche alle diffusissime indicazioni stradali che ci sono in Marocco (evidentemente sono fermi oppositori dell’inquinamento visivo) nonché delle precise e concordanti informazioni della gente del luogo a cui ci siamo rivolti più volte.
Una volta incontrato il proprietario, un inglese trasferitosi in Marocco da due anni e totalmente rinchiuso nella sua solitudine fatta di tv, internet e videogiochi, abbiamo finalmente preso la prima vera fregatura della vacanza: non abbiamo fatto in tempo ad allungare al portaborse una banconota sbagliata (l’equivalente di 20 euro invece che 2…) che questo ha eguagliato, se non battuto, il record di Bolt sui 100 m… Primo segnale che qualcosa non sarebbe andato nel verso giusto…
Come in tutte le medine, anche, e soprattutto, a Fes districarsi tra le stradine pensando di sapere dove ci si trova in ogni momento è pura illusione: in uno dei tantissimi vicoli ciechi in cui ci siamo infilati siamo stati agganciati da un ragazzino, Amsa, che a soli 13 anni parlava più lingue di un laureato italiano. Li per lì ci è sembrato un gesto carino chiedergli qualche informazione circa la nostra posizione se non fosse che ha iniziato ad accompagnarci in tutti i posti segnalati, facendoci fare un tour completo della città in metà del tempo di quello consigliato dalla guida. Come le api sul miele sono sopraggiunti il fratello più piccolo (ma molto più furbo…) e altri scugnizzi, attratti dal guadagno facile di qualche dirham. Non c’è che dire, la loro abilità ci è stata utilissima, ma alla fine della giornata l’accorgersi di aver favorito direttamente lavoro nero, e per giunta minorile, non ci ha fatto molto piacere. Se poi, come abbiam saputo in seguito, c’è un corpo di polizia in borghese apposito che gira per la medina, beh…
Fes ci ha confermato la prima impressione avuta a Meknes: la medina, pur essendo al centro, è una città nella città, totalmente distaccata da tutto ciò che sta al di fuori delle mura. Fa impressione constatare come chi ha la fortuna (secondo noi sfortuna) di nascere lì dentro sia destinato a viverci per sempre, in una sorta di costrizione psicologica e culturale insormontabile: da lì difficilmente ne vieni fuori, ancorato come sei a quelle tradizioni e a quel modo di sopravvivere che non ti fa modo di conoscere un’alternativa.
Oltre alle bellissime mederse e moschee, sempre interdette ai non musulmani, Fes è famosa per il quartiere dei conciatori: se mai ci verrete, questa è l’unica zona per la quale non vi servirà nessuna cartina per raggiungerla. L’odore nauseante delle vasche ripiene di guano di piccione, calce, tinture e acqua maleodorante ti si avvinghia appena sei a tiro senza possibilità di scampo. Avvicinarsi è impossibile, rimane l’alternativa di entrare in qualche negozio, salire sulla terrazza e osservare (con molta ammirazione) quelle persone che in quelle vasche ci lavorano per tutta la vita.




Poi, chiaro, ridiscendi nel negozio che casualmente vende borse di pelle e Sara non la vedi più!!! La sua scarsa abilità nel contrattare ha fatto si che le trattative siano state abbastanza veloci, non come invece la vera e propria guerra instaurata col venditore di tappeti del negozio a fianco: presa come una sfida personale, in 4 contro 1, in una lingua mista tra italiano, francese e spagnolo ci siamo battuti fino all’ultimo euro per il tappeto di Marco (che all’inizio non aveva preso neppure in considerazione l’acquisto) uscendo con la convinzione di essere vincitori visto il prezzo strappato.




Abbiamo chiaramente evitato di verificare negli altri negozi quali erano i prezzi per articoli simili, onde evitare delusioni cocenti!!
Dopo una giornata ricca e faticosa ecco arrivare il momento della cena e qui si materializza la maledizione del turista europeo fighetto in Africa: pur seguendo le indicazione della Lonely Planet finiamo in un tipico ristorantino marocchino, fatto di quattro tavolini all’aperto e un’unica stanza di 6 mq che fungeva da “cucina”. Non l’avessimo mai fatto…. E qui per pudore mi fermo e lascio alla vostra immaginazione L

lunedì 18 ottobre 2010

Fuga nella medina

Se qualcuno di voi pensa sia necessario puntare la sveglia per alzarsi, beh, se hai un minareto sopra la testa si può benissimo farne a meno: devi però solamente accettare di svegliarti alle 5….
Puntuale come uno svizzero il muezzin ha iniziato ad urlare a tutta la città deserta per un buon 10 minuti, e quella che fino ad allora poteva sembrare una cosa positiva del nostro riad, ovvero la posizione, si è rivelata controproducente. Come previsto Omar ha cercato di sovrastarne la voce, ma ha trovato pane per i suoi denti.




Devo ammettere che avere il compito di urlare dall’alto e a tutto volume “Allah akbar” (“Allah è più grande di ogni cosa”) deve essere una sensazione assolutamente eccitante.
Dopo un’abbondante colazione, siamo usciti in fretta e furia al solo scopo di seminare tutti quei personaggi che ci attendevano all’esterno per fregarci in tutti i modi conosciuti dall’uomo: ristoranti (come se si pranzasse alle 10 del mattino), negozi di tappeti, guide improvvisate, erano solo alcune delle trappole pensate per noi: ma l’essere riusciti a evitarle è per noi motivo di orgoglio e credo anche di rispetto da parte di professionisti quali sono loro.
Presa una direzione a caso, visto che la cartina in nostro possesso è assolutamente inutile, abbiamo gironzolato per mederse (ovvero le scuole coraniche), foundouk e moschee, ammirandone quasi sempre solo l’esterno o al più i cortili interni: infatti in Marocco quasi tutti gli edifici religiosi sono esclusivamente accessibili ai musulmani. Come però riescano a riconoscere un musulmano a prima vista non ci è dato sapere…
Se aggiungiamo che i biglietti di ingresso ai luoghi visitabili costano dappertutto un solo euro, ecco che ce li facciamo passare tutti: alcuni, come il mausoleo di Moulay Ismail, sono assolutamente imperdibili, altri, come il Dar Ma (un grosso granaio chiamato Casa dell’Acqua), sono fregature colossali, dato che sembra che in Marocco non si sforzino molto di valorizzare, o perlomeno mantenere, il proprio patrimonio artistico.




Camminare tra queste stradine che si intersecano casualmente tra loro,senza cartelli o indicazioni, spesso senza uscita, tra bancarelle e negozi di ogni tipo, tra odori speziati e colori vivaci, tra gente che si muove di fretta senza alcun motivo (visto che nessuno sembra debba lavorare) è una sensazione al limite dello stordimento, che fiacca ben più della fatica fisica.




Ci dirigiamo poi verso la meta successiva, Fes: l’impressione avuta all’arrivo a Meknes è nulla in confronto. Ma questo ve lo raccontiamo domani…

domenica 17 ottobre 2010

Un nuovo mondo

Ebbene si, dopo una lunga e interminabile attesa durata tutta un’estate è finalmente giunta anche per noi la tanto agognata vacanza e quindi eccoci qui a raccontarvi questa nuova avventura in terra marocchina. Siamo già in ritardo di un giorno, lo so, lo so….ma nel primo posto in cui abbiam dormito di Intenet nessuna traccia. Non male passare da un anno con l’altro dal freddo islandese (benchè fosse luglio) al caldo africano, soprattutto se parti quando a casa le temperature stanno per crollare (e per chi mi conosce è una cosa che apprezzo molto). Ma le novità non riguardano solamente la meta…. Il team avventura vede perdere due pilastri, ma contestualmente arruola due personaggi discussi e discutibili con nome di battaglia “mullah” Omar e Sahara.
La vigilia vede la squadra impegnata in un ritiro pre-partenza tutto all’insegna del viaggio imminente: ottima l’idea di Marco di vedere “Marrakech Express” (dal quale alcuni di voi avranno riconosciuto il titolo dell’evento su Facebook) se non fosse che la sveglia per la partenza era puntata alle 3.30 e, complice le due ore indietro di fuso, dormire 2 ore in 2 giorni è cosa abbastanza provante….
Rispetto all’anno scorso, una volta arrivati all’aeroporto, non c’è stata nessuna sorpresa riguardo alla macchina noleggiata: vedendo la quantità di bagagli non proprio modesta di tutti noi (soprattutto il sottoscritto) si temeva che la Corolla richiesta non fosse sufficiente e invece, su questo aspetto, niente da eccepire. Certo, le prestazioni non sono altrettanto sorprendenti (eufemismo), ma tant’è, contiamo di non dover fare “strade” simili a quelle islandesi!!!
Subito imbocchiamo l’autostrada per Rabat ed ecco il primo sorprendente e inconcepibile aspetto di questo strano Paese: ai lati della doppia carreggiata, esattamente ogni 200 m, ci sono poliziotti sull’attenti, immobili sotto il sole, vestiti di tutto punto (guanti compresi….).




Se tenete conto che di km in autostrada ne abbiam fatti un centinaio, col solo corpo di polizia schierato il Marocco potrebbe invadere Mauritania ed Algeria contemporaneamente. Perché direte voi? Boh, ma varie sono le ipotesi: autovelox umani, colonnine SOS in carne ed ossa, uffici informazioni itineranti, ausiliari dell’attraversamento (si, in Marocco si “può” attraversare l’autostrada con qualunque mezzo)…
Tappa della prima giornata sono i resti della città romana di Volubilis, che, nonostante sia inserita nel patrimonio dell’Unesco e meta di molti turisti, la gente locale non sa neppure dove sia, visto che chiedere informazioni sulla strada da seguire si è rivelata un’impresa impossibile. Come in ogni luogo, il compito più arduo per un turista è cercare di non farsi agganciare da una moltitudine di guide improvvisate che, a seconda del tuo Paese di appartenenza, si inventano parenti immaginari  che guarda caso abitano proprio nella città da cui provieni. Chiaramente poi il cugino fabbrica i più bei tappeti, il fratello ha il miglior ristorante….Abbiamo però messo subito in chiaro che almeno quei ruderi li avevamo fatti noi 2000 anni fa e che quindi di guide potevamo farne anche a meno!!!





Pur non essendo certo Pompei o i Fori imperiali, il luogo merita comunque una visita, anche solo per dei bei mosaici ancora presenti tra i resti delle case patrizie arrivati fino a noi ancora in buono stato.
A questo punto del racconto direte voi: beh, dov’è l’avventura???
Beh, provate voi a girare in macchina a Meknes e poi ne parliamo… L’impatto con quella che è solamente la sesta città del Marocco è devastante: mezzi di locomozione di ogni tipo ed ogni età che si concentrano in poche vie attorno alla medina (non percorribile in macchina), senza alcuna regola o segnaletica orizzontale, senza precedenze o sensi unici con un sottofondo di clacson e musica araba al massimo volume, con una densità di polveri sottili da far invidia a piazzale Loreto a Milano. Il tutto per cercare un posteggio in una città che di parcheggi non ne prevede e che fosse vicino al riad prenotato che non si sapeva bene dove fosse. Cartine della medina non esistono, nemmeno Google map o Viamichelin sono in grado di rappresentarti quell’intrigo impressionante di stradine, viuzze e vicoli che la costituiscono. Per sopravvivere e non perdersi in questo vero e proprio labirinto è necessario affidarsi a gente del posto, che per mestiere vaga in cerca di anime perse da accompagnare a destinazione dietro previa ricompensa. Non c’è altra soluzione e questo l’abbiam capito subito. Anche il solo star dietro a queste persone non è cosa facile: tra bancarelle e fiumi di gente che passa tra strade larghe due metri, tra profumi di spezie ed odori fetidi l’accompagnatore quasi si mette a correre, sicuro com’è di dove sta andando; il povero turista cerca affannosamente di stargli dietro, attento a non scontrarsi con qualche autoctono permaloso e illudendosi di ricordarsi il tragitto per ritornare alla macchina.
Tanta fatica ne è però valsa la pena visto il bellissimo riad che ci aspettava: nulla di più autentico, una vera casa marocchina al centro della medina, con un grande patio sul quale le poche stanze si affacciavano alla sola luce diurna e completa di tipici truffatori al suo esterno che siamo abilmente riusciti ad evitare.




Stanchi morti, dopo cena ci si è addormentati subito (su un materasso più duro di una lastra di marmo) consci della faticaccia che ci avrebbe aspettato il giorno successivo.