giovedì 21 ottobre 2010

Il lungo viaggio

Oggi i nostri stomaci, se potessero uscire dal nostro corpo, sarebbero già sul volo di ritorno per Milano: sottoposti a soli tre giorni a base di carne di pollo o agnello, abbondantemente cosparsa da decine di spezie diverse e cucinata in ambienti “asettici” e appositi si sono ribellati contemporaneamente in modo alquanto deciso ed inequivocabile. La cucina marocchina non è certo rinomata per la sua varietà, visto che qualsiasi cosa venga speziata assume sempre lo stesso sapore; la discriminante principale rimane quindi non la scelta tra ristoranti con menù diversi, ma tra posti più o meno igienici: spesso dare un’occhiata alla cucina è ciò che determina la sottile linea di confine tra una serata tranquilla e una notte tempestosa.




Con questo vigore partiamo alla volta delle terre desertiche al confine con l’Algeria.
Lungo il breve tragitto di 497 km abbiamo attraversato molteplici ambienti diversi tra loro, passando da tornanti in montagna a rettilinei infiniti in mezzo al deserto, tra oasi verdissime a case di fango, tra fiumi evaporati e canyon profondissimi. Vista l’impressionante quantità di persone che si muove in bicicletta, quasi sempre percorrendo decine e decine di chilometri in mezzo al nulla e sotto il sole ci vien da chiedere come mai nessun marocchino abbia mai vinto il Tour de France: fin da ragazzini sono obbligati a pedalare incessantemente visto che, per non so bene quale motivo, pressoché tutte le scuole si trovano molto al di fuori di qualunque centro abitato o assembramento di case che possa essere considerato tale. Non esistono scuolabus per cui è frequente incontrare a qualsiasi ora del giorno e della notte (anche gli orari scolastici sono per noi un mistero) bambini vagabondare per la strada apparentemente senza meta.




E’ diventata per noi consuetudine pranzare solamente con una CocaCola a testa e tassativamente in quei bar lungo la strada che meno attirano il turista straniero: quando si parla di marchio globale…
In questi posti veraci la famosa ospitalità marocchina scompare in fretta: gli avventori locali (generalmente pochi) non solo non parlano nemmeno una parola di francese, ma faticano persino a qualsiasi cenno di saluto o di interazione, neppure tra di loro. Il fissare il vuoto o la strada sembra essere il passatempo più diffuso. Altra cosa che accomuna un po’ tutto il mondo è senza ombra di dubbio il calcio: vedere frotte di ragazzini correre dietro ad un pallone sdrucito, su campi pietrosi improvvisati in mezzo al deserto, con delle assi di legno come porte e vederli felici nella loro povertà è il miglior spot per questo gioco, che, benché ne dicano i suoi detrattori, rimane per tutti il più bello.
Ci accorgiamo che il sole cala piuttosto presto anche a questa latitudine quando iniziamo a dover schivare nel buio i soliti ciclisti anche sulla strada che ormai costeggia le dune sabbiose, meta affascinante della giornata successiva. Come sempre in questi casi mi chiedo perché, con tutto questo spazio a disposizione, debbano non solo costruire strade così strette, ma soprattutto con più curve di un passo alpino.
A Merzouga ci aspettava l’ultimo templare, visto anche che ora, secondo il calendario musulmano, siamo nel 1430 o giù di lì: più precisamente un italiano che da anni gestisce un piccolo riad a forma di castello ai bordi del deserto, battezzato “Le chevalier solitaire”. Ci avrebbe fatto molto piacere scambiare due chiacchiere con quello che deva essere sicuramente un personaggio bizzarro, ma la moglie marocchina (ecco forse un buon motivo che l’ha spinto in queste lande desolate a mangiare tajine per tutta la vita) ci ha detto che era in giro a scorrazzare per il deserto in moto con altri turisti, molto più avventurosi dei sottoscritti. Non escludo che prima o poi possa prendere in considerazione una vacanza del genere…..vero Cighe???